Quando parliamo di amore malato, per lo più ci riferiamo a quelle forme relazionali che sono disfunzionali e autodistruttive. Alcune di questi pattern di attaccamento possono rientrare nella categoria delle dipendenze perché hanno la stessa struttura delle dipendenze e sono le dipendenze affettive.
La dipendenza è un comportamento che a breve termine porta sollievo e sensazioni positive, ma che a lungo termine diventa distruttivo. È normale cercare benessere in una relazione, è un bisogno di attaccamento, e c’è una sorta di dipendenza che è sana e costruttiva, ma che non ha niente a che vedere con la dipendenza affettiva.
Una relazione adulta “normale” ha un bilanciamento tra cose buone e cose cattive, e comprende una sorta di connessione reciproca.
La dipendenza affettiva è una dipendenza dall’idealizzazione di una persona, e può essere intesa come un comportamento compulsivo mantenuto dalle sue proprietà difensive. L’idealizzazione non è altro che una difesa costituita da un impulso, e con lo scopo di proteggere la mente da un materiale traumatico.
Possiamo accorgerci che la relazione è o sta diventando disfunzionale quando il mantenimento delle sensazioni positive diventa predominante a scapito dell’esame di realtà, quando la persona acceca totalmente o parzialmente gli aspetti negativi della relazione. L’obiettivo diventa mantenere il legame a tutti costi, disconnettendo la capacità di integrare le informazioni.
Ricercare la presenza dell’altro e non essere consapevoli dei lati oscuri della relazione è un modo per mettere da parte quel materiale traumatico, pregno di informazioni e significati dolorosi, che la mente vuole tenere a bada.
Le persone vittime di questo tipo di legame possono venire in seduta e richiedere aiuto lamentandosi del rapporto, ma non essere pronti a lasciare quel rapporto. A volte possono anche essere consapevoli del problema, ma non essere in grado di connettersi agli eventi originali. E l’esito del lavoro terapeutico non sempre coincide con la rottura: potrebbe essere che la persona migliori le proprie capacità di comunicazione all’interno della relazione, impari a proteggersi dal danno, o magari si allontani un po’ dalla relazione.
Quello che vediamo è un malessere che spesso si riduce attraverso l’evitamento (“non voglio parlarne con lui, lui mi vuole bene, non è lui quando beve”) e l’idealizzazione (“d’altronde è una brava persona…”). Il bisogno di credere certe cose diventa il focus, così si hanno sensazioni positive e sollievo.
Parlando di questi temi, immaginiamo già aleggiare nella mente di chi sta leggendo “è tutta colpa del narcisista!”. Naturalmente noi sappiamo che la causa ha a che fare con una storia che è iniziata tanto tempo prima di quel contatto, che nel rapporto spesso si riaccende e si mantiene.
E poi, se dobbiamo proprio nominarlo, allora c’è anche la dipendenza nel narcisista, dove spesso il problema sottostante è che nessuno era lì per lei/lui. Di fondo c’è un vissuto di inutilità, trascuratezza, non amore, non essere visti. Spesso in questo tipo di paziente c’è una spinta a voler avere a tutti costi quelle sensazioni piacevoli percepite quando era bambino in quel rapporto esclusivo e senza limiti con uno dei due genitori. Perché questa spinta? Per il mantenimento della propria immagine grandiosa attraverso la ricerca di approvazione, ammirazione, accettazione e controllo del partner.
Se nella difesa di idealizzazione sopra citata troviamo spesso frasi del tipo però lui mi vuole bene, è dolce...nella difesa di idealizzazione del narcisista troviamo sono in diritto di, senza di me non va da nessuna parte che protegge il paziente dal senso negativo di sé, dall’umiliazione.
Tutto questo non ha niente a che vedere con l’amore, ma con uno scopo, quello di proteggersi ancora da ferite profonde mai sanate mantenendo a tutti costi certe sensazioni.
Come spesso accade, dobbiamo fare un passo indietro per comprendere quello che sta accadendo dentro e fuori di noi, per fare quel salto, quel passo, quel cambiamento necessario per stare meglio.
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