Come mai è così tanto difficile per qualcuno chiudere una relazione riconosciuta malsana e che genera sofferenza?
Da che mondo è mondo siamo orientati a ricercare e a mantenere piacere, ad avvicinarci alle cose che ci affascinano, che ci motivano e che ci fanno sentire vivi e a scappare da tutto ciò che ci duole.
Allora perché così tante persone sono attratte da relazioni pericolose o dolorose?
Non sembra poi così difficile ricadere nelle medesime situazioni, ritrovarsi a rivivere la stessa identica situazione sentimentale, anzi per alcuni sembra abbastanza facile e naturale “sembra che me le cerchi tutte così le relazioni…non capisco perché alla fine mi ritrovo sempre con persone che mi tradiscono… sembra che non riesca a fare a meno di fare certe scelte …. Ad alcuni di voi sarà capitato quasi sicuramente di sentire un’amica, una persona vicina esordire in questo modo o ascoltare racconti e aneddoti che si ripetono come i giri di una giostra degli orrori da cui la protagonista in questione sembra di fatto non voler scendere.
Freud aveva coniato il termine re-enactment, coazioni a ripetere, per queste riattualizzazioni “traumatiche”: insieme a molti suoi seguaci, credeva che fossero un tentativo inconscio di controllare una situazione dolorosa, volto a raggiungere il padroneggiamento e la risoluzione del trauma. Tuttavia non ci sono prove per questa teoria: la ripetizione aumenta solo l’odio verso se stessi, portando con sé ulteriore dolore.
Un vecchio studio di Solomon dell’Università di Pennsylvania aveva spiegato come le attività paurose o dolorose potessero, in un secondo momento diventare esperienze eccitanti. Si diventa dipendenti non solo da sostanze che nell’immediato fanno sentire bene, ma anche da attività, per esempio come la maratona, il paracadutismo, che seppur inizialmente possono procurare disagio e persino terrore alla fine possono diventare molto piacevoli. Questo adattamento graduale segnala il raggiungimento di un nuovo equilibrio chimico all’interno del corpo: ed è questo il modo in cui maratoneti riescono a tenere un senso di benessere e di euforia dallo spingere il loro corpo al limite.
A questo punto proprio come con la tossicodipendenza, cominciamo a desiderare di vivere quell’esperienza deprimendoci qualora non sia possibile farlo. Col tempo le persone sono più tormentate dalla sofferenza dell’astinenza che dall’attività in sé. Questa teoria potrebbe spiegare perché alcune persone paghino per essere picchiate o si brucino con le sigarette o perché siano attratte solo da persone che fanno loro del male. La paura e l’avversione in modo perverso si trasformano in piacere.
Solomon aveva ipotizzato che le endorfine, prodotti chimici simili alla morfina che il cervello secerne in risposta allo stress, giochino un ruolo cruciale nei meccanismi paradossali della dipendenza prima descritta e questo gettò luce sull’idea di H. Beecher che “le emozioni forti possono bloccare il dolore”.
Tutto ciò suggerisce che, per molte persone traumatizzate, la riesposizione allo stress potrebbe fornire una sensazione simile alla percezione del sollievo dell’ansia.
Naturalmente i fattori in gioco che sostengono il mantenimento di una relazione o situazione malata sono diversi, e possono essere rintracciati nella storia di vita della persona, nelle ferite emotive dalle quali si cerca di fuggire o di anestetizzarsi, da una difettosità di risposta del cervello alle minacce percepite e rievocate dall’attivazione di alcune tracce mnestiche a determinati stimoli esterni o interni.
La consapevolezza di tutto questo unita ad un attento lavoro finalizzato al padroneggiamento delle emozioni e delle proprie sensazioni può consentire alla persona di uscire da questi vicoli ciechi.
Katia e Sara Santerelli
Bibliografia Il Corpo accusa il colpo B.Van Der Kolk
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