“ la sfida è quella di modificare il funzionamento cerebrale, contrastando il senso di impotenza e del non essere visti associato al trauma, facendo sì che possa essere recuperata la padronanza del proprio corpo e della propria vita”
Van der Kolk 2014
Il nostro cervello registra ed elabora in continuazione informazioni provenienti dall’esterno.
Nel corso della nostra vita alcune informazioni possono assumere caratteristiche di drammaticità, imprevedibilità e di pericolo, peggio ancora se inferte da mano umana e per lunghi periodi.
Tuttavia non sempre il cervello riesce ad elaborare queste informazioni che rimangono intrappolate nelle stesse reti neurali così come in alcune parti del corpo.
Ormai sappiamo che il trauma non risiede nell’evento ma nel sistema nervoso centrale, e questo a conferma del fatto che gli eventi non sono di per sè traumatici ma che è la risposta della persona che li rende tali, non riuscendo ad elaborarli e ad integrarli nel cervello.
Prima di capire perché lavorare con il corpo dovremmo avere chiaro come funziona la mente quando si trova più volte ad imbattersi in uno o più eventi traumatici e come funziona la dissociazione in tutto questo.
Come funziona la mente?
Facciamo un esempio: ora che siamo qui a leggere l’articolo sappiamo che una parte del nostro cervello è attivata da reti neurali che non sono le stesse di quando stiamo dormendo, facendo sport o quando litighiamo con il nostro partner. Ognuna di queste reti forma uno stato mentale e ogni stato mentale è diverso dall’altro e si attiva in determinate circostante. Tutto sommato questi stati possono essere abbastanza armoniosi e integrati.
Per esempio mentre sto litigando con il mio partner su una questione non mi dimentico dell’altro stato mentale che lo stima e lo riconosce come buon padre o compagno amorevole o dell’altro ancora che definisce noi come persone di valore, capaci, come professionisti... non mi dimentico sostanzialmente di tutto quello che è la mia vita.
Il modello dell’Adaptive Information Processing (AIP) su cui si basa l’ EMDR afferma che, a seguito di un evento traumatico non rielaborato, le reti neurali che custodiscono i ricordi di tali esperienze risultano sconnesse dal resto delle altre reti.
In casi che riguardano traumi ripetuti nel tempo, soprattutto in età infantile, tali divisioni sono ancora più nette, tanto che alcune memorie traumatiche non sono accessibili alla coscienza. Si parla quindi di dissociazione strutturale. La parte emotiva rimane fissata sul trauma in uno stato di continua ri-esperienza del trauma come attuale.
Nella parte apparentemente normale il campo della coscienza è ristretto alle attività quotidiane e questa parte è fobica nei confronti di quella emotiva, con perdurante mancanza di integrazione.
Tutte le parti hanno bisogno di imparare a riconoscersi, ad accettarsi, a cooperare tra di loro.
Le Persone traumatizzate hanno spesso paura dei loro vissuti, magari non temono più i perpetratori ma sicuramente temono le loro stesse sensazioni fisiche, vero pericolo attuale. La preoccupazione di essere dirottati su sensazioni spiacevoli congela il corpo e spegne la mente. Anche se il trauma riguarda il passato, il cervello emotivo continua a generare sensazioni che rendono impauriti e impotenti; non ci si sorprende che tanti sopravvissuti al trauma siano dei bevitori o mangiatori compulsivi o che abbiano paura di fare l’amore o che evitino attività sociali. Il loro mondo sensoriale è praticamente bandito.
Nel lavoro sulla parte emotiva o parti, inevitabile è il lavoro sul corpo perché per cambiare bisogna riaprirsi alla propria esperienza interna, alle senazioni fisiche.
Il trauma è cablato nel cervello e nel corpo e a volte la semplice Talking cure potrebbe non bastare; è fondamentale riconnettere il paziente con la sua parte emotiva superando e affrontando difese e fobie rispetto a queste parti. A volte abbiamo bisogno di mettere in condizioni di sicurezza il paziente, di risentire a livello emotivo e a livello corporeo ciò che era stato sperimentato in passato ma non elaborato.
È In questa ottica che le terapie basate sul corpo si rivelano utile come fase preparatoria per poi successivamente elaborare le memorie traumatiche.
di Katia e Sara Santarelli
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